Discorso intorno ad Archimede by Domenico Scinà

Discorso intorno ad Archimede by Domenico Scinà

autore:Domenico Scinà [Scinà, Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9791255040712
Google: 8gtmAAAAcAAJ
Amazon: B0B5KQRRQ4
editore: Aurora Boreale
pubblicato: 1823-09-15T10:07:54+00:00


Ma senza rifuggire ad ipotesi, che prive sembrano di verosimiglianza e di ragione, è da credere essere state le cose geometriche così familiari al suo spirito, come son pronte a chiunque le parole del linguaggio natìo nel conversare. I suoi occhi trasformavano le cose, ch’esistono, in esseri matematici; la sua immaginazione non tracciava che linee e figure; il suo intelletto, non rivolgea che teoremi geometrici; il suo mondo in somma era tutto matematico. Per lo che la sua mente rivolta in sé stessa, esercitata nelle vie dell’intelletto, versata nelle verità geometriche, di queste e non d’altro prendea senso e diletto: di che venía, ch’egli talora non s’intrattenea delle cose di fuori, e ponea, come vuole Plutarco, non di rado in dimenticanza i bisogni eziandio della vita21. Rideranno forse alcuni nel sentire, che Archimede non curava talora di ungere il suo corpo, o che nell’atto che lo ungea per conforto di sua fantasia segnava linee e figure sul suo corpo medesimo. Ma ciò non dee recar maraviglia a chiunque sa, che la mente nostra quanto più si raccoglie in se stessa, tanto più si aliena da’ sensi. Coloro, che occupati sono in qualche pensiero più e più volte, e non di rado per inezie, divengono astratti dagli uomini, non veggono, non sentono. Archimede adunque, che contemplava altissime cose, e preso era dalla dolcezza di queste; quanto più si stendea nel pensiero, tanto meno si affaccendava alla cura del corpo. Così e non altrimenti possono gli scienziati dalla terra inalzarsi, pigliare le vie sublimi del cielo, le fame eterne acquistare. Era di fatto l’avidità del sapere, e l’ardore della gloria, che reggea le sue forze, aguzzava il suo intelletto, sostenea la sua attenzione. Né i suoi desiderj andarono falliti: nome e fama chiarissima ebbe allora presso di tutti, e la posterità, che non suole ingannarsi nella stima degli uomini, che già furono, lo riguarda come chi tra gli antichi, oltre di ogni altro geometra, fu presto e copioso nell’inventare. Sono, egli è vero, famosi i nomi di Euclide e di Apollonio, che ambidue tra’ greci alto salirono nelle cose geometriche; ma costoro, sebbene avessero accresciuto la scienza colle proprie speculazioni, pure intenti furono a mettere insieme quelle verità, ch’eran conosciute, e quà e là si trovavan disperse: mostrarono ambidue, in ciò fare, singolare intendimento e perizia delle cose matematiche, e profitto recarono inestimabile agl’ingegni ed alla posterità. Ma occupandosi in parte delle altrui scoverte perdettero un tempo nel ricalcare le vie già calcate da’ loro predecessori. Archimede fu il solo, che sdegnò di trattare le cose già trattate, e di là partendosi, dove gli altri si erano ristati, non pensava che ad inventare, e sempre per vie nuove, ardue, spinose verso l’invenzione lanciavasi. Che se alcuno si mostrerà ritroso a concedere tale superiorità al nostro geometra sopra Euclide ed Apollonio, potrà almeno reputare questi tre prestantissimi geometri come i triumviri, che alla repubblica matematica prescriveano leggi e divieti; ma non potrà certamente negare, che Archimede più avanti inoltrandosi, che Euclide ed Apollonio



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